Una
volta pensato il personaggio che si vuole raccontare, sarebbe opportuno concedersi
un po’ di tempo per ragionarci sopra, magari una giornata, abbandonandosi a
pure, per alcuni forse superflue, riflessioni.
Partiamo
dall’idea che la scrittura di un copione o di un romanzo sia una destinazione
che vogliamo raggiungere. Nulla di strano che prima ci s’informi su dove siano
diretti. Una cartina geografica, qualche immagine su google, notizie da chi ci
è già stato. Informazioni che non rappresentano in alcun modo l’emozione del
viaggio ma che, a meno di non considerarsi avventurieri impenitenti, ci fanno pregustare il piacere della scoperta.
1) Consideriamo
innanzitutto che ciascun personaggio a cui s’intende dar vita risponde ad
un’unica necessità: ‘farcela’. Farcela a stare meglio, a realizzare ambizioni o
sogni, a vivere in maniera soddisfacente e appagante, insomma, farcela ad
essere felice. Quindi qualsiasi argomento trattato in un racconto, ambientato in
questa o in quell’epoca, ha lo scopo finale di dare risposta al ‘non farcela’
iniziale del protagonista.
Esistono
condizioni di partenza che limitano il protagonista dovute all’ambiente in cui
vive, all’educazione che ha ricevuto, alla realtà culturale in cui si è sviluppato.
Queste restrizioni psicologiche, educative o ambientali lo hanno forgiato
rendendolo ciò che ora è, e da queste restrizioni deve liberarsi (le immagini
di ‘Mission’ in cui Robert De Niro trascina dietro di sé il sacco – fardello di
colpe - contenente le armi con cui fino a quel punto si è difeso, è
emblematica).
Sostanzialmente
cosa significa questo ‘farcela’ di cui parliamo? Qualche milione di anni fa per
l’uomo primitivo il ‘farcela’ aveva un significato biologico nel bisogno di
mangiare per riprodursi. Per mettere in atto questa stringente necessità, usava
una clava con la quale sbrigava gran parte delle questioni con i suoi
interlocutori. Poi un giorno, stanco o sprovvisto di un nodoso randello a
portata di mano, decise di sostituire la pesante clava con un chiaro e sonoro ‘ma
va’ al quel paese!’. Da quel giorno, più o meno, è nata la Cultura, definibile
come ‘clavata argomentata’, rabbia e forza e determinazione espresse nel
linguaggio verbale. Sviluppo di un linguaggio, evoluto nel corso del tempo, che
ha conservato però le stesse finalità: arrivare a ottenere un vivere pieno e
soddisfacente. Naturalmente oggi non si parla più di mammuth e di femmina in
estro, piuttosto di realizzazione nel lavoro e di una compagna (o compagno) che
ci completi.
Per l’individuo
moderno, la parte principale della sopravvivenza è sempre rappresentata dal
bisogno di esprimere le proprie emozioni, veicolo delle proprie necessità. Se
questa capacità di espressione è bloccata o impedita da costrizioni
psicologiche, ambientali o culturali, egli sviluppa un ‘problema’.
2) Bisogna
perciò identificare innanzitutto la sfera di base a cui appartiene il problema
del protagonista (nella vita reale un ‘problema’ è in genere il prodotto di un
insieme di fattori, ma in un racconto bisogna necessariamente identificarne
uno).
Dove si
trova il problema del protagonista, ostacolo al suo ‘non-farcela’? Nella sfera
affettiva?
Se si tratta
di Storie d’Amore, metteremo in campo un personaggio che ha difficoltà a
esprimere quelle emozioni congelate che all’inizio rappresentano il suo limite o fatal flaw. Per rappresentare
quest’incapacità, non necessariamente si deve ricorrere a un orso che vive in
totale solitudine. Un’ampia letteratura ci indica in dongiovanni e dark ladys un’uguale
impossibilità. Il ‘realismo carnale’ di Bukowsky infatti, nei suoi personaggi aggrediti
dalle passioni, pone un limite di consapevolezza, lo stesso della Madame Bovary
di Flaubert, non diverso dal romanticismo quasi mistico di Romeo e Giulietta o
da quello tormentato e disperato di Jane Eyre. Punti di partenza diversi, ma aventi
lo stesso obiettivo: farcela a esprimere ciò che soddisfa nel profondo. (Con
finali differenti che esprimono il messaggio
dell’autore).
Oppure: il
protagonista ha un problema di crescita?
Se si
tratta di Storie di Morte (di crescita), l’incapacità a farcela da dare al
protagonista è per certi aspetti più evidente. Qualcosa (dentro di sé) o
qualcuno (fuori di lui) gli impedisce di avere una vita piena e soddisfacente.
Anche qui c’è un’infinità di esempi, dal senso di colpa di Conrad Jarret in
‘Gente Comune’ di Redford, al conflitto tra Bene e Male di ‘Dottor Jekyll e
Mister Hide’, al tormento del ‘Faust’ di Goethe. Ciascun protagonista in questo
genere di opere deve affrontare il demone
del male (cioè la scarsa consapevolezza di sé stesso) per crescere a una
consapevolezza piena e soddisfacente.
A quale
di questi due macro-problemi intendete dare risposta attraverso il vostro
protagonista?
3) Una volta che lo avete stabilito, definite
il limite o fatal flaw del protagonista entrando nello specifico.
Se è
vero che ogni racconto è la storia del problema del protagonista, puntiamo
l’attenzione soltanto sul suo problema identificato in uno dei due suddetti macro-gruppi.
I problemi fondamentali di un uomo, come detto, non sono cambiati dalla notte
dei tempi, quindi la collocazione storica o geografica del racconto ha un
valore secondario, ‘estetico’. Sappiamo che fino a Freud i racconti erano generalmente
imperniati su ostacoli di natura sociale, quelli di natura psicologica si sono
sviluppati successivamente quando, con innegabile genialità, il padre della
psicanalisi ha messo l’uomo davanti a uno specchio dicendogli: ‘non sei
soltanto quello che vedi o pensi di te stesso, sei molto di più’.
Oggi non
ci sono più i Montecchi e i Capuleti a creare ostacolo all’amore, oggi i
problemi sono quasi sempre di natura psicologica, individuale. Una confusione
di elementi interni dovuti a uno sviluppo non idoneo a una vita piena e
soddisfacente.
Dunque
come si caratterizza nello specifico il problema del vostro protagonista? Per
entrare ancor più dentro al ‘problema’, occorre porsi altre domande.
Vive
passioni sfrenate perché ha paura dell’amore? Vive chiuso in un totale
controllo perché ha ricordi dolorosi legati alle sue ‘aperture’? Prende di
petto il mondo perché teme di morirvi ‘sotto’? Compie scaltrezze perché non sa
di avere delle qualità? O delle doti? Per le stesse ragioni trama contro altri?
Tradisce perché ha paura di essere tradito? Uccide qualcuno perché qualcuno ha
ucciso qualcosa dentro di lui? Ama tutti perché teme di amare sé stesso?
Perché? Non lo merita abbastanza? E perché non lo merita abbastanza? Cosa gli è
successo?
Naturalmente
molte di queste domande sono sovrapponibili e possono indicare effetti di uno
stesso problema, ma è necessario evidenziarne una precisa, corrispondente al problema
del vostro protagonista se vogliamo che il ‘racconto’ segua un percorso ben identificabile.
Occorre cioè
trovare il punto preciso in cui nel passato del protagonista si è verificato quel
dato trauma. È spaventato dal mondo perché ha perduto il padre e non ha più una
guida? Quel giorno la sua vita è cambiata. Da ragazzino allegro e spensierato,
si è chiuso in un mutismo ostile e impenetrabile. Ora che ha trent’anni, o
quaranta, che vita conduce? Conoscete qualcuno che abbia vissuto il dramma di un’esperienza
simile? Una persona così ‘in difesa’, può avere una relazione sentimentale? Se
ce l’ha, come sarà? ‘Lei’ come dovrebbe essere? Cosa succederà quando ‘lei’ gli
dirà che le sue chiusure condizionano il loro rapporto? Lui come si comporterà?
Cosa dovrà capire? E in che modo lo capirà?
Perdere
un po’ di tempo su queste o altre domande non toglie nulla all’opera che si ha
in mente di realizzare, ci costringe soltanto a trovare la maniera precisa con
la quale il protagonista esprimerà questo suo disagio in una coerenza di
pensieri e di azioni. (Una semplice regola prevede che un timido, posto di fronte
a un conflitto, risponda sempre da timido, cioè senza mai alzare la voce).
4) Una
volta trovata la domanda specifica che inquadra il ‘non farcela’ vostro
protagonista, potrete spendere il tempo che vi rimane per circostanziare gli
effetti del suo ‘non farcela’. Starebbe sicuramente meglio se riuscisse ad
affrontare il suo problema, vivrebbe bene come desidera, da cosa ne è impedito?
È la
parte più intrigante delle riflessioni intorno alla costruzione del vostro protagonista.
Ci sono grandi autori come Hitchcock o Allen, o Dostoewskij, che avevano e
hanno individuato ‘definitivamente’ il loro problema specifico, legato probabilmente
alla loro percezione delle cose. Tutti i film di Hitchcock partono infatti da
un unico assunto ‘psicologico’: il protagonista è accusato di qualcosa che non
ha commesso, almeno non consapevolmente (senso di colpa); cioè tutti i film di
Hitchcock sono basati sul senso di colpa del protagonista, rappresentato da
un’accusa esterna o da una fissazione personale. Quelli di Woody Allen partono
ugualmente da uno stesso, unico assunto: la scarsa autostima (sempre per un senso
di colpa) del protagonista, rappresentata con buffi disagi e ironie. Dostoewskij
invece attingeva il suo assunto di base nell’inadeguatezza (senso di colpa) dei
suoi protagonisti rispetto a un contesto sociale o familiare brutale e
vessatorio.
Si può
stabilire insomma che tutto ciò che viene raccontato o rappresentato nelle arti
è espressione di un unico tema fondamentale: il senso di colpa. Tutti noi
agiamo o non agiamo in virtù del senso di colpa. I nostri personaggi compresi.
Poi questo
problema specifico prende la forma di mille rivoli, e dobbiamo essere in grado
di dare nome e cognome a quello che intendiamo percorrere.
Di base
la nostra stessa esistenza è una ‘colpa’. Occupiamo uno spazio, esprimiamo
delle emozioni spesso non condivise, sottraiamo cibo che spetterebbe ad altri
se non ci fossimo. È una dimensione che ‘per natura’ ci vede ‘usurpatori’, invasori
di una realtà che preesisteva alla nostra comparsa. Ed è proprio qui, nell’incapacità
di ‘apparire’, di esistere, di farci spazio, consci dei nostri diritti e delle
nostre necessità, che si annida il germe della colpa. Mi spetta il diritto di
essere felice? Allora perché non me lo concedo? Lo devo elemosinare o
pretendere?
Ovviamente
non possiamo raccontare sempre la storia della cacciata dal paradiso terreste,
che di colpa primigenia parla. Per questo tale ‘colpa’, nei racconti, viene caratterizzata
da questo o da quell’evento traumatico che rappresenta il ‘problema’ del
protagonista. Definire nello specifico di cosa si tratta, quale sia l’evento
traumatico, serve a far vibrare della stessa corda chi legge un libro o chi
assiste a un film, poiché lettore e spettatore vivono o hanno vissuto la stessa
difficoltà. Il senso profondo che da quell’opera artistica ne ricaveranno, pur con
problemi diversi, sarà lo stesso. ‘Farcela’.
È chiaro
che se un protagonista vive passioni sfrenate è perché teme i sentimenti, ma
anche di aprirsi a emozioni che lo hanno ferito, per questo non si fida, per
questo fa le scarpe agli altri. Ma, come detto, queste caratterizzazioni sono in
realtà quattro racconti diversi. È necessario trovare il trauma specifico, la
domanda specifica che lo rappresenta, che rappresenta il suo particolare
impedimento, e avrete ‘in pugno’ il vostro protagonista.
Se un
protagonista vive passioni sfrenate, da piccolo avrà subìto, direttamente o
indirettamente, lesioni o ferite riferibili ad un’affettività mancata.
Non può, per esempio, essere orfano di genitori morti in un incidente stradale (anche
se nella realtà non si potrebbe escludere). Sappiamo per esperienza che chi ha
perduto i genitori da piccolo tende generalmente a chiudersi dentro di sé.
Se un
protagonista si esprime violentemente, non possiamo rappresentarlo da piccolo colpito
da una malattia invalidante. Magari invece avrà avuto un padre violento o sarà
cresciuto in mezzo alla strada.
Se una
protagonista femminile ha molte qualità e non riesce a esprimerle per esempio
nel lavoro, probabilmente avrà avuto una madre che mortificava la sua femminilità,
oppure un padre che la sottostimava (magari tutt’e due).
I
genitori possono non essere più in campo (se il protagonista ha superato i
venti-venticinque anni in genere non se ne parla più), ma ciò che il nostro
protagonista è diventato li comprende incarnando il trauma da loro ereditato. Cioè
una parte di sé ormai è diventata quel
trauma nell’incapacità di essere felice. Quindi è con questo suo essere adesso ‘quel
problema’ che deve fare i conti, e l’autore dovrà rificcarcelo catarticamente.
Ci sono
decine e decine di film che espongono questo ‘teorema’ in maniera quasi
meccanica: il poliziotto ha provocato inavvertitamente un danno a un bambino e
si ritrova a fare il poliziotto in una scuola elementare; una donna ha perso un
figlio e si ritrova a fare la baby-sitter; un criminale vuole abbandonare il
crimine e viene rituffato in una rapina; una donna vuole imparare a conoscersi
meglio e si ritrova con un uomo che vuole assolutamente sposarla.
Questi impedimenti
e resistenze sono il coperchio che lo stesso protagonista si è creato nel tempo
(inconsapevolmente) comprimendo le proprie ambizioni, la propria giusta aspirazione
a una vita emotiva piena e soddisfacente. Nessuno è più “colpevole” di lui,
dovrà scoprirlo.
Per
concludere, possiamo considerare l’idea di ‘farcela’ il problema specifico del
protagonista che incontra il proprio limite come opportunità, il ‘diritto a
esistere’ come prezzo da pagare, che nessuno può desiderare quanto lui, a che altri
non possono pagare al suo posto.