La "mancanza" è il motore di ogni storia. Conoscere la mancanza del protagonista è il primo problema che chi scrive dovrebbe porsi. Perché soffre il nostro eroe? Che cosa gli manca? Gli manca l'amore, la fiducia in sé stesso, una vita serena, una speranza?
Queste mancanze, e non solo queste, sono legate all'incompletezza dei sentimenti che tormenta il protagonista, che lo spinge a lottare, a soffrire, a combattere. La fine della storia vedrà il nostro eroe recuperare o incorporare quella parte mancante attraverso un salvifico slancio vitale.
Perciò cominciamo col parlare di quest'incompletezza e completezza di sentimenti.
Per semplificare, diciamo che nasciamo tondi o quadrati, o, per dirla con Jung, introversi o estroversi, oppure intelligenti o emotivi, come dico io, e che la forma che prendiamo, il carattere cioè che assumiamo crescendo, è una risposta - parziale quindi problematica - a ciò che impattiamo appena nati. Dal modo cioè in cui percepiamo questo impatto rispondiamo diventando, e specializzandoci col tempo, intelligenti o emotivi.
Queste mancanze, e non solo queste, sono legate all'incompletezza dei sentimenti che tormenta il protagonista, che lo spinge a lottare, a soffrire, a combattere. La fine della storia vedrà il nostro eroe recuperare o incorporare quella parte mancante attraverso un salvifico slancio vitale.
Perciò cominciamo col parlare di quest'incompletezza e completezza di sentimenti.
Per semplificare, diciamo che nasciamo tondi o quadrati, o, per dirla con Jung, introversi o estroversi, oppure intelligenti o emotivi, come dico io, e che la forma che prendiamo, il carattere cioè che assumiamo crescendo, è una risposta - parziale quindi problematica - a ciò che impattiamo appena nati. Dal modo cioè in cui percepiamo questo impatto rispondiamo diventando, e specializzandoci col tempo, intelligenti o emotivi.
In
una definizione piuttosto generica, possiamo dire che l’intelligente è colui che si ritrova costretto a
comprendere molto bene gli altri lasciando così poco spazio alla comprensione
di sé stesso, mentre l’emotivo è talmente concentrato sulle proprie emozioni da
concedere poco alla comprensione degli altri. Dopodiché,
in base a questi presupposti, strutturiamo la nostra personalità, formiamo
cioè un carattere in base a ciò che ci caratterizza, per ritrovarci poi, da
adulti, a scontrarci con l’altra parte, cioè la risposta
mancante, che non abbiamo adottato. In questo “scontro-incontro” stanno tutti i nostri drammi. Dunque
le storie cosa sono? Sostanzialmente la ricerca di quella risposta che all'inizio del nostro sviluppo non abbiamo adottato
essendoci “adattati” all’altra.
Come molti sapranno, tutte le cellule del nostro corpo sono
‘complete’ tranne quelle sessuali che trovano la loro unione attraverso l’accoppiamento.
Il gamete maschile è lo Spermatozoo, il gamete femminile è
l’Uovo. Ogni cellula sessuale singola è detta aploide in quanto contiene solamente META’ del cromosoma, mentre
l'unione tra le due cellule, maschile e femminile, forma la cellula diploiede o zigote.
META’.
Dualità biologica.
Oltre l’attrazione biologica che proviamo verso l’altro
sesso, ci indirizziamo verso un partner o una partner caratterizzati
in maniera opposta rispetto a noi. Per affrontare e misurarci con la nostra mancanza e integrarla.
Oltre all’imperativo biologico, esiste perciò un imperativo psicologico: spermetto emotivo e ovuletto intelligente (questo esempio è il più consueto) attratti come calamite la cui separazione crea mancanza. E come ci fa soffrire questo imperativo!
Oltre all’imperativo biologico, esiste perciò un imperativo psicologico: spermetto emotivo e ovuletto intelligente (questo esempio è il più consueto) attratti come calamite la cui separazione crea mancanza. E come ci fa soffrire questo imperativo!
Cosa ci “accoppia” perciò al di là dell’attrazione biologica? Perché quel tipo o quella tipa, e non l’altro o l’altra? Se siamo intelligenti negli anni cercheremo la completezza in un partner
emotivo. E viceversa. Tutto
così semplice? No. Ci sono le pene dell’amore.
Quando
poi la parte che siamo stati costretti a negarci la ritroviamo da adulti in noi stessi (veicolata da una
mentore o un mentore, come avviene nei film) allora diventiamo completi e possiamo permetterci un amore
totale e pieno. Perciò
non è di questo che possiamo parlare nelle nostre storie. Dovremmo sennò
parlare di ciò che avviene tra due amanti dopo la fine del film, quando
questa riunione è avvenuta. Il film, appunto, non è questo. Il film sta
prima del the end, cioè nella ‘pena
d’amore’, nella tensione di un
partner verso l’altro, nel tentativo di riavvicinare le due parti. Quindi
il come vivranno i nostri protagonisti dopo il the end non è oggetto di narrazione. A loro auguriamo una splendida
esistenza. Dal the end in poi si può
parlare di sentimenti pienamente
realizzati. Prima
parliamo di mancanza.
La
mancanza è il nostro film.
“Amore
è amore di quello di cui si avverte la mancanza” afferma Socrate ispirato da
Diotima nel Simposio di Platone.
Non
credo esista definizione più pertinente al nostro problema.
Mancanza.
Presupposto
cioè alla riunione tra intelligente e emotivo, tra l'estroverso e l'introverso
junghiani, tra prolific e devouring blakeiani, tra yin e yang cinesi, tra cielo
e terra indiani: questo è lo spazio dove vive il nostro racconto. Dove, in
effetti, quel sentimento totale e pieno che si estende dal the end in poi non c’è.
Mancanza.
Che
per lunghi tratti dà “romanticamente” sostanza e senso alla nostra
esistenza.
Mancanza. Il
nostro batticuore…
Il
significato di Amore infatti, in alcune versioni della mitologia greca, è generato
proprio dalla dualità Mancanza/Espediente. Amore (Eros) era figlio di Penia
(povertà/mancanza) e di Poros (espediente), circuito da lei quand’era ubriaco.
Bel
quadrettino amoroso, no?
Platone
invece nel Simposio parla di un uomo e una donna, uniti attraverso il petto e
la pancia, che Zeus divide con un colpo di spada per renderli più deboli e meno
tracotanti al suo cospetto. Il dolore della separazione: quanto duramente lo
subiamo!
Jung
parla invece della Persona e della sua Ombra: esiste uno spunto migliore per
indicare ciò che ci manca? Qualcosa che non vediamo, un’Ombra appunto, che
addirittura ci spaventa e che alla fine faremo di tutto per abbracciare?
Dualità.
Sempre dualità.
Il finale del film (climax) sta nel ritrovare l’integrazione di queste due parti. La realizzazione di questa unione produce un moto emotivo profondo che ci fa superare la sensazione di morte (o perdita) legata a questa mancanza.
Che è anche la nostra.
Che è anche la nostra.
E arriva il the end.
(Prima parte)
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