giovedì 10 aprile 2014

CLIMAX: ED ESPLOSIONE FU.


Immagino spesso che il climax dovrebbe rappresentare la condizione in cui dovremmo vivere costantemente, in un buon’umore prodotto dalla capacità di emozionarsi, arrivando persino a considerare la spensieratezza – come scritto da Max Stirner – il momento filosofico più alto. Contrariamente a ciò che in genere avviene, a mio avviso, con certe dottrine o discipline pseudo-orientaleggianti che ci convinciamo che ci facciano stare meglio. Non si esce da una difficoltà con un bel discorso, piuttosto con una profonda reazione vitale.

Certo non è facile trovare nella vita di tutti i giorni lo spirito giusto, invasi da problemi spesso non nostri o angustiati dalle nostre aspirazioni irrealizzate, ed è proprio questa risposta vitale a fare la differenza. Infatti uno stesso problema visto con umore diverso improvvisamente si può trasformare in risibile contrattempo. La possibilità di una risposta vitale rende tutto meno ostile e insormontabile.

È questo il climax, è questa l’opportunità che ci offre. Sentire quel brivido lungo la schiena o farci gonfiare gli occhi di lacrime perché è proprio lì, in quel preciso punto, che si rigenera la vita, un momento in cui corpo e psiche reagiscono contemporaneamente e ci danno una sensazione di pienezza. La Vita è essenzialmente questa ‘reazione’, e quando noi la percepiamo, percepiamo la Vita.

(Il CLIMAX dovrebbe portare alla catarsi, che in greco significa ‘espiazione’ ‘purificazione’. Ma a me piace pensare che non sia una colpa da espiare, di cui doversi purificare, ma di provare emozioni. “Colpa” intesa come mancata libertà attraverso la quale “espiare” la grigia vita che ci può toccare in sorte).

Nelle Storie d’Amore il protagonista, dopo aver cavalcato giorni o slalomato con una moto in mezzo al traffico o corso a perdifiato per quattro isolati, raggiunge la donna che ama in procinto di partire, e la esorta ad ascoltare quello che finalmente riesce a dirle… È il climax!
Ugualmente, nelle Storie di Morte, il protagonista salta sul primo mezzo di locomozione che trova, distrugge un mercato ortofrutticolo, una dozzina di vetrine e un chiosco gelati, poi scende a precipizio e affronta il Cattivo!

Il climax, soprattutto nelle Storie d’Amore, si sostanzia con una partecipata dichiarazione emotiva. Un ‘discorso della montagna’ che chiarisce il livello raggiunto dal protagonista dopo tanto travaglio (l’idea di una nascita, o rinascita della Vita, non è impropria). ‘Discorso’ che si fa monologo, sordo, serrato, che non accetta contraddittorio, un bisogno fisiologico impellente e incontenibile… che il partner o la partner non possono far altro che ascoltare, e bearsene.

Esemplificativo il ‘discorso’ di Jerry Mcguire (Tom Cruise) nell’omonimo film che entra nella casa dove c’è la donna che ha scoperto di amare e, dopo averla salutata con un emozionato ‘ciao…’, sviscera tutta una serie di ragioni per cui sente di amarla e di non poter più fare a meno di lei, al termine delle quali Dorothy Boyd (Renée Zellweger) si limita a dire soltanto un convinto e tenero: “mi avevi già convinta al ‘ciao’”.

Non è da meno Melvin Udall (Jack Nicholson) in mezzo alla strada, all’alba, con Carol Connelly (Helen Hunt) in “Qualcosa è cambiato”: “Io forse sono l’unica persona sulla faccia della terra che sa che sei la donna più in gamba della terra. Io forse sono l’unico che capisce e apprezza quanto tu sei straordinaria per ogni singola cosa che fai… … per ogni singolo pensiero che hai, per come dici quello che hai in mente, perché quello che dici è quasi sempre legato profondamente con l’essere onesti, e buoni… io credo che a molte persone sfugga questo di te, e io le osservo e mi chiedo come facciano a guardarti mentre gli porti da mangiare e gli sparecchi il tavolo senza capire che hanno appena visto la donna più straordinaria che esista… e il fatto che io questo lo capisca mi fa sentire bene. Con me stesso.”

Si perde tutto nel climax, e si ritrova tutto. Si perde perché non sono più in ballo necessità, ragioni, bisogni, diritti, c’è solo un cuore che scoppia se qualcosa di sé, molto, non esce subito dalla bocca. Allora… ecco è la vita!
Di colpo tutto si fa tridimensionale in quello stesso cuore che batte all’impazzata trovandosi in un luogo semplicemente straordinario, pieno di luci, di contorni definiti, di parole chiare, di calma e di entusiasmo. È un tuffo nell’acqua gelata d’estate, che ti mozza il fiato e ti fa gridare per quella violenta sensazione, è un tramonto dov’è il sole che contempla te, è energia emessa come “virus” che raggiunge e contagia chiunque. Le cose non hanno più un senso, un valore, un significato. Le cose sono sensazioni che vanno e tornano come onde di un sonar, che gli ostacoli, laddove vengano incontrati, li aggira in maniera sinuosa e plastica, come acqua d’un fiume che aggira una roccia emergente.

Nelle Storie di Morte il climax è molto meno romantico, ma ugualmente vitale. Qui la posta in palio è la sopravvivenza, quindi uno stadio precedente all’espressione dei sentimenti. Da morti non resta molto da esprimere. È un climax più “arcaico”, più essenziale.
Per gusto personale, anche qui tra un’infinità di esempi, ricordo il climax de “Gli intoccabili”, quando in tribunale Eliot Ness (Kevin Constner) riesce ad inchiodare Al Capone (Robert De Niro) con un conclusivo, fiero e vincente: “…Qui finisce la lezione!” Oppure le appassionate conclusioni del tenente Daniel Kaffee (Tom Cruise) in “Codice d’Onore” contro il colonnello Nathan R. Jessep (Jack Nicholson) a cui riesce a far perdere il controllo e a far ammettere le proprie responsabilità. Il saluto marziale scattando sull’attenti che i due marines tributano a Kaffee che li difendeva, è il pieno riconoscimemto al ‘traguardo’ che lui ha raggiunto: “… Ufficiale in coperta!”
Le Storie di Morte abbracciano vari generi, e ogni genere ha il suo climax: nell’action puro o nel western spesso è solo una scazzottata o una sparatoria che mette fine alla lotta tra Bene e Male; nel thriller e nel poliziesco si può aggiungere la lunga e appassionata tirata di fronte a un’assemblea di persone o di fronte a una giuria in punta di moralità o di Legge.

Di questo genere di storie segnalo un aspetto divertente relativo a tale snodo: se non è il collega o l’amico o il parente a morire la cui morte, poco dopo, rimotiva il protagonista generando la ‘farfalla’, può succedere che il poliziotto-protagonista di turno cada nella trappola del Cattivo che lo lega e lo imbavaglia per correre ad eliminare l’ultimo scomodo testimone. Curioso, no? Il Cattivo ha per le mani il suo peggior nemico, se lo fa fuori ha risolto tutti i suoi problemi, invece che fa? Se lo scorda “un attimo” per andare a fare secco qualcun altro. Questo movimento, di per sé incongruente, serve in realtà a dare al protagonista, nel Punto di Morte, la possibilità di ritrovare la rimotivazione per andare al climax. E la sua ‘farfalla’, in questo caso, consiste nel fare appello alle ultime, residue forze per liberarsi da lacci e lacciuoli. E poi via, allo scontro finale. Se, come sarebbe più sensato, il Cattivo lo uccidesse, una volta che è caduto nella sua trappola, il film priverebbe il nostro eroe della possibilità di liberare la sua residua forza vitale e di andare al climax ad annientare il Cattivo.

La struttura narrativa non è l’incomprensibile invenzione di un cervellone (al di là del fatto di come viene rappresentata), ma la raffigurazione sintetica di un sogno che abbiamo già fatto.

Il momento è comunque solenne: psiche e corpo ‘esplodono’ contemporaneamente. È la festa della Vita. Nel climax il protagonista non può fare altro di ciò che fa. Tutto l’arco del racconto è stato teso in modo che ora, in questo preciso momento, il protagonista possa scoccare l’unica determinante freccia rimasta in suo possesso: non può sbagliare.
Storico il “Luke, segui la forza!” di Star Wars (‘farfalla’). E poi Luke arriva dove nessuno fino a quel momento aveva pensato possibile.
Chi se ne frega delle conseguenze, dell’effetto che potrà sortire, al diavolo cosa penseranno di me… È questo il bello del climax! L’”irresponsabilità” di ciò che si sente. La centralità dell’emozione è tale che non si pensa più in termini di ‘risultati’. Il risultato non è contemplato nel climax, al massimo la speranza.

Un altro piccolo, importante aspetto legato al climax.
Nelle Storie di Morte più ‘action’, il Cattivo fa la brutta fine che fa, senza tante chiacchiere. Tuttavia il protagonista, prima di liberarsi definitivamente del Cattivo che scivola dentro un altoforno o cade giù da una roccia o dall’ultimo piano di un palazzo altissimo, interrompe per un istante quell’atto per uno ‘sguardo dritto negli occhi’ o una battuta che rivendica un accadimento precedente. Questo per non considerare la piena condizione di vita raggiunta del protagonista diretta conseguenza della morte fisica di un altro. La morte del Cattivo è una necessità narrativa, non del nostro eroe.

Lo stesso nelle Storie d’Amore si considera non scontata la risposta che il protagonista riceve dalla donna che ama. Sì, sappiamo che per tutta la storia ‘i due’ non hanno fatto che cercarsi e respingersi, perciò nulla di più scontato che finisca bene, ma quella risposta tarda di qualche attimo, un’esitazione, l’ultima, che lascia baluginare il peggio, proprio per dare al protagonista la sensazione (e con esso al lettore o allo spettatore) che la piena espressione emotiva del climax giustifica sé stessa, e basta a sé stessa. Non prevede appunto consensi, perché non è più surrogato di qualcosa, ma è qualcosa. È la Vita piena che, in quanto tale, comprende anche il ‘peggio’.

In ultima analisi il climax rappresenta la percezione più profonda di sé stessi, che contempla l’idea dell’esser soli come uno stato di completezza emotiva, stabilita spesso in un film, e più diffusamente in un romanzo, da quell’istante in cui il protagonista – giunto al discorsone della montagna - non ottiene la risposta che il suo ‘monologo’ invoca, cioè il definitivo ‘sì’ della donna che ama (Nel caso di protagoniste femminili, l’esito non cambia). Un attimo di sospensione in cui, come già detto, il protagonista basta a sé stesso in quell’espressione che è piena e totale e che comprende tutto. La completezza l’ha raggiunta dentro di sé, il ‘sì’ e l’abbraccio dell’amata, o dell’amato, viene a coronamento di una condizione già determinata e emotivamente ‘auto-sufficiente’. Difficoltà e problemi che adesso non lo invadono più mutando il suo sentire e il suo agire.

Il Cattivo che doveva essere sconfitto è stato sconfitto…
Lui è riuscito a raggiungere Lei e a dirle quello che sentiva nel profondo del cuore...

… E chiudiamo l’ultima pagina del libro o usciamo dal cinema traendo un sospiro di stupore e di sollievo. “Ah, lui alla fine ce l’ha fatta.”

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