domenica 11 maggio 2014

FINE DELLO STATO DI GRAZIA: L'INIZIO DELLA "FINE".


La Fine dello Stato di Grazia rappresenta l’improvvisa caduta nel reale del protagonista, dopo la Prova Suprema, l'inizio del suo ritorno indietro, all’impatto finale col suo fatal flaw. Nella Prova Suprema è stato in qualche modo esaltante, ma il protagonista scoprirà di non aver fatto i conti con la realtà e che, per molti tratti, la sua forza onnipotente era soltanto un’illusione.

Aver fatto i conti senza l’oste, si potrebbe dire usando un vecchio adagio. È un piccolo risveglio, preludio di uno sviluppo ancor più cupo. Diciamo che a questo punto il protagonista impatta l’Ombra junghiana. Una certa solidità esterna, persino uno stato di benessere fisico (Stato di Grazia nella Prova Suprema), gli permettono d'incontrarla. Il colpo non è duro, è, si potrebbe dire, una prima stretta di mano, una prima conoscenza con ciò che gli manca. È la cacciata di Adamo dal Paradiso.

Gli viene suggerito che c’è altro che finora non ha visto, scoperta che segnerà un momento molto doloroso per lui. È un primo assaggio, come se questa potente e "minacciosa" forza dentro di lui - che si è rivelata - fosse altrettanto garbata da non presentarsi tutta all’improvviso. Oppure, qualcuno direbbe, dentro di lui agiscono in questa circostanza resistenze adeguate al lento scoprire di una sua parte profonda e oscura che altrimenti lo travolgerebbe. Resistenze, quindi, persino salvifiche.

Fatto sta che il Vaso di Pandora è stato rotto. Esce fuori ciò che non ci aspettavamo, e il disorientamento è grande con un senso di frustrazione che sono le emozioni del protagonista in questo punto. Sa che è successo qualcosa d’importante ma non capisce bene cosa, non ne conosce la portata, e questo lo allarma: non ha più il controllo sulle cose come aveva prima. O perlomeno, quel controllo non basta più.

Si rifugia, si richiude, torna a casa, si mette a letto, o guarda il tramonto dalla finestra, o fissa il soffitto della stanza. Cerca un punto su cui fissare lo sguardo perché dentro di lui tutto si sta muovendo incontrollatamente. Sembra che cerchi un punto di appoggio, un appiglio per non vacillare così come sente dentro. La forza indistruttibile dello Stato di Grazia non c’è più semplicemente perché non è servita, non che non sia utile. Anche questo disorienta il protagonista: cos’è questa nuova cosa così sfuggente che ha messo in crisi il suo perfetto e potente assetto?

Con tutto ciò che questa parola comporta, si potrebbe dire che ‘questa cosa sfuggente’ è l’amore. L’Ombra junghiana che s’affaccia promettendo: anima per il protagonista maschile, animus per la protagonista femminile. È quella parte atrofizzata da un passato amaro e difficile che ha rimesso fuori la testa chiedendo comprensione. È quella parte che la nostra partner o il nostro partner hanno rimesso in moto dentro di noi con l’affetto che ci hanno saputo donare. Ora, nella Fine dello Stato di Grazia, il protagonista scopre che questo ‘dono’ non è affatto scontato. Sì, lo desidera, sente di averne diritto, ma ciò vale anche per la persona che gli ha fatto quel dono.
I partner sono stati più coraggiosi a mostrare il loro affetto, e il protagonista sente appunto che gli è dovuto, è ‘cosa sua’, privando così il partner o la partner dello stesso diritto. (Per una visione un po’ materna di quell’affetto). È suo, gli spetta. La Fine dello Stato di Grazia (si potrebbe dire ‘la fine del rapporto materno') corrisponde alla scoperta di una partner che gli dice: io ti devo nella misura in cui sei in grado di restituirlo.

Qui il protagonista va nel pallone. La scoperta che l’altra persona abbia esigenze e ambizioni diverse dalle sue (in fondo neanche più di tanto), malgrado abbia contribuito a renderlo felice. Ora perché accampa pretese?

Nelle Storie d’Amore il protagonista impatta la parte mancante che gli pone appunto il limite di ciò che non ha. Emblematica Helen Hunt in “Qualcosa è cambiato” quando chiede a Jack Nicholson dopo la sua ennesima ruvidezza, di dirle per quale motivo l’abbia portata a cena in un ristorante, perché insomma loro sono lì, se lui conosce il perché. Melvin balbetta, esita, dice l’ennesina ruvidezza. Per Helen Hunt è la goccia che fa traboccare il vaso. “Dimmi subito qualcosa di carino o me ne vado.” Poi Jack Nicholson parla col barista domandandosi che diavolo volesse dire: non era già stato abbastanza carino a portarla al ristorante?

È il primo impatto con la morte, intesa come mancanza di qualcosa che non è stato ancora integrato, animus e anima appunto. È il ‘nel mezzo del cammin di nostra vita’, di dantesca memoria. Quando cioè qualcosa finisce e si comincia a pensare che non si è abbastanza immortali per bastare a sé stessi. ‘Crisi di mezz’età’, si direbbe.

Se nella prima parte della storia il protagonista si è battuto con le unghie e con i denti contro qualcuno o qualcosa che stava fuori di lui, ora capisce che la lotta più ardua è contro quel ‘qualcuno dentro di lui’.

Nelle Storie di Morte, questo momento è abbastanza definito. Se si tratta d’azione o d’avventura il nostro eroe ha appena ricevuto una batosta dal cattivo, e questo lo costringe a pensare che la sola forza fisica – in cui si sentiva superiore – forse non basta. Nel thriller, il protagonista-detective diventa lui stesso obiettivo dell’assassino, a differenza della prima parte del racconto in cui cacciava l’assassino seguendo le sue tracce: ora è l’assassino che segue lui per ucciderlo.

Cioè gli aspetti rivolti verso l’esterno, alla Fine dello Stato di Grazia il protagonista li rivolge verso di sé. Si potrebbe dire che da estroflesso si fa introflesso. Il campo d’indagine o di ricerca non è più ‘fuori di lui’, ma ‘dentro di lui’. Cerca all’interno quella parte di sé atrofizzata per ridarle motilità ed energia, o per lui non si metterà bene.

Ma, come detto, le resistenze sono tante. Resistenze che, anche in questo caso, si fanno sostanzialmente interne, non esterne come nella prima parte della storia. Per resistenze esterne si intendono tutte quelle resistenze attribuite come ostacoli prodotti da altri: cioè la partner che 'non capisce'; l’assassino che riesce a far perdere le tracce; il cattivo, in generale, che mette bastoni tra le ruote che impediscono al protagonista di avanzare. Ostacoli esterni. Ora il protagonista scopre quelli interni (limiti personali) che, per certi versi, sono persino più resistenti.

È normale, se consideriamo queste resistenze interne, che esse ci pongano ostacoli. Dopo una vita passata a pensarla in un certo modo, ad agire in un certo modo, non è uno scherzo fare inversione a U e ricominciare. Cioè, le nostre paure di impattare qualcosa di doloroso che ci farà pentire di aver intrapreso quella strada sono fortissime, e pure comprensibili. E, come detto, persino salvifiche. Scoprire di colpo la profondità del nostro dolore potrebbe destabilizzarci completamente. Ma ugualmente il protagonista si sente spinto e attratto in quella direzione. È inevitabile, a questo punto, per lui. Come una calamita che lo attrae verso qualcosa di doloroso con cui sente inevitabile il confronto. 

Il protagonista scopre a questo punto che in realtà in lui esiste una frazione emotiva importante, anzi determinante in una relazione che duri un po’ più d’un paio di serate, frazione che fino a quel momento ha negato o eluso per paura ‘che il fulmine lo colpisse’, cioè che questa parte non praticata potesse vendicarsi aggredendolo. Allora “meglio” evitarla. Ma in realtà è una parte stessa del protagonista alla quale lui rinuncia e ha rinunciato fino a quel momento, e che ora non può più ignorare perché ‘riattivata’ durante la Prova Suprema. Desiderio e paura cancellano sé stessi, scrive Joseph Campbell. Bisogna accettarlo, e vedere cosa succede.

Questa piccola caduta agli inferi (ma il peggio deve ancora venire) termina in quella che viene chiamata Seconda Pinza, un punto che si trova la Fine dello Stato di Grazia e il Punto di Morte. Il protagonista ha percepito ‘che c’è dell’altro che lo spaventa e lo attrae’. Quindi arriva un punto in cui questa ‘responsabilità a sentire pure con dolore’ viene richiamata. Una specie di test, qualcuno (le sue resistenze interne, nel racconto l'antagonista) che gli dice di lasciar perdere, in fondo starci male non serve, potrebbe mollare e ritornare alla sua vecchia vita. Un test, appunto. Un magnifico esempio è rappresentato nel film 'Il Verdetto', quando a Paul Newman, avvocato alcolista, il cattivo propone un bel po’ di soldi se lascerà perdere la causa. Paul Newman ha il bicchiere nella mano che gli trema, la tentatazione forte di bere, di dimenticare, di accettare il compromesso: invece trova la forza di rimetterlo giù sul tavolo. Bellissimo messaggio, senza sprecare una parola. Abbiamo capito che lui, anche se con grandi difficoltà, è disposto ad andare avanti.

La Fine dello Stato di Grazia rappresenta lo snodo narrativo in cui la fonte di energia che il protagonista ha trovato nello Stato di Grazia della Prova Suprema e lo ha esaltato, impatta la necessità di una verifica sul piano reale. Quindi gli viene chiesto cosa è in grado di fare sul piano reale per sostenere quella forza, al di là del fatto che lo desideri, se è abbastanza coraggioso per ottenere l’elisir finale.

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