La Fine dello Stato di Grazia
rappresenta l’improvvisa caduta nel reale del protagonista, dopo la Prova Suprema, l'inizio del suo ritorno indietro, all’impatto finale col suo fatal flaw. Nella Prova Suprema è
stato in qualche modo esaltante, ma il protagonista scoprirà di non aver
fatto i conti con la realtà e che, per molti tratti, la sua forza onnipotente
era soltanto un’illusione.
Aver fatto i conti senza l’oste,
si potrebbe dire usando un vecchio adagio. È un piccolo risveglio, preludio di
uno sviluppo ancor più cupo. Diciamo che a questo punto il protagonista impatta l’Ombra junghiana. Una certa solidità esterna, persino
uno stato di benessere fisico (Stato di Grazia nella Prova Suprema), gli permettono d'incontrarla. Il colpo non è
duro, è, si potrebbe dire, una prima stretta di mano, una prima
conoscenza con ciò che gli manca. È la cacciata di Adamo dal Paradiso.
Gli viene suggerito che
c’è altro che finora non ha visto, scoperta che segnerà un momento
molto doloroso per lui. È un primo assaggio, come se questa potente e "minacciosa" forza
dentro di lui - che si è rivelata - fosse altrettanto garbata da non presentarsi tutta
all’improvviso. Oppure, qualcuno direbbe, dentro di lui agiscono in questa
circostanza resistenze adeguate al lento scoprire di una sua parte profonda
e oscura che altrimenti lo travolgerebbe. Resistenze, quindi, persino
salvifiche.
Fatto sta che il Vaso di Pandora è stato
rotto. Esce fuori ciò che non ci aspettavamo, e il disorientamento è grande con un
senso di frustrazione che sono le emozioni del
protagonista in questo punto. Sa che è successo qualcosa d’importante ma non
capisce bene cosa, non ne conosce la portata, e questo lo allarma: non
ha più il controllo sulle cose come aveva prima. O perlomeno, quel controllo non basta più.
Si rifugia, si richiude, torna a casa, si mette a letto, o guarda il tramonto dalla finestra, o fissa il soffitto
della stanza. Cerca un punto su cui fissare lo sguardo perché dentro di lui
tutto si sta muovendo incontrollatamente. Sembra che cerchi un punto di
appoggio, un appiglio per non vacillare così come sente dentro. La forza
indistruttibile dello Stato di Grazia non c’è più semplicemente perché non è servita, non che non sia utile. Anche questo disorienta il protagonista: cos’è questa nuova cosa così sfuggente che ha messo in crisi il suo perfetto e potente assetto?
Con tutto ciò che questa parola
comporta, si potrebbe dire che ‘questa cosa sfuggente’ è l’amore. L’Ombra
junghiana che s’affaccia promettendo: anima
per il protagonista maschile, animus
per la protagonista femminile. È quella parte atrofizzata da un passato amaro e
difficile che ha rimesso fuori la testa chiedendo comprensione. È quella parte
che la nostra partner o il nostro partner hanno rimesso in moto dentro di noi
con l’affetto che ci hanno saputo donare. Ora, nella Fine dello Stato di Grazia, il protagonista scopre che
questo ‘dono’ non è affatto scontato. Sì, lo desidera, sente di averne diritto,
ma ciò vale anche per la persona che gli ha fatto quel dono.
I partner sono stati più
coraggiosi a mostrare il loro affetto, e il protagonista sente appunto che gli è dovuto,
è ‘cosa sua’, privando così il partner o la partner dello stesso diritto.
(Per una visione un po’ materna di quell’affetto). È suo, gli
spetta. La Fine dello Stato di Grazia (si potrebbe dire ‘la fine del rapporto materno') corrisponde alla scoperta di una partner che gli dice: io ti devo nella misura in cui sei in grado di restituirlo.
Qui il protagonista va nel pallone. La
scoperta che l’altra persona abbia esigenze e ambizioni diverse dalle sue (in
fondo neanche più di tanto), malgrado abbia contribuito a renderlo felice. Ora
perché accampa pretese?
Nelle
Storie d’Amore il protagonista impatta la parte mancante che gli pone appunto il limite di ciò
che non ha. Emblematica Helen Hunt in “Qualcosa è cambiato” quando chiede a
Jack Nicholson dopo la sua
ennesima ruvidezza, di dirle per quale motivo l’abbia portata a cena in un
ristorante, perché insomma loro sono lì, se lui conosce il perché. Melvin
balbetta, esita, dice l’ennesina ruvidezza. Per Helen Hunt è la goccia che fa
traboccare il vaso. “Dimmi subito qualcosa di carino
o me ne vado.” Poi Jack Nicholson parla col barista domandandosi che diavolo
volesse dire: non era già stato abbastanza carino a portarla al ristorante?
È il primo impatto con la morte, intesa
come mancanza di qualcosa che non è stato ancora integrato, animus e anima
appunto. È il ‘nel mezzo del cammin di nostra vita’, di dantesca memoria.
Quando cioè qualcosa finisce e si comincia a pensare che non si è abbastanza
immortali per bastare a sé stessi. ‘Crisi di mezz’età’, si direbbe.
Se nella prima parte della storia il
protagonista si è battuto con le unghie e con i denti contro qualcuno o qualcosa
che stava fuori di lui, ora capisce che la lotta più ardua è contro
quel ‘qualcuno dentro di lui’.
Nelle Storie di Morte, questo momento è
abbastanza definito. Se si tratta d’azione o d’avventura il nostro eroe ha
appena ricevuto una batosta dal cattivo, e questo lo costringe a pensare che la
sola forza fisica – in cui si sentiva superiore – forse non basta. Nel
thriller, il protagonista-detective diventa lui stesso obiettivo
dell’assassino, a differenza della prima parte del racconto in cui cacciava
l’assassino seguendo le sue tracce: ora è l’assassino che segue lui per
ucciderlo.
Cioè gli aspetti rivolti verso
l’esterno, alla Fine dello Stato di Grazia il protagonista li rivolge verso di
sé. Si potrebbe dire che da estroflesso si fa introflesso. Il campo d’indagine
o di ricerca non è più ‘fuori di lui’, ma ‘dentro di lui’. Cerca all’interno
quella parte di sé atrofizzata per ridarle motilità ed energia, o per lui non si metterà bene.
Ma, come detto, le resistenze sono tante. Resistenze che, anche in questo caso, si
fanno sostanzialmente interne, non esterne come nella prima parte della storia.
Per resistenze esterne si intendono tutte quelle resistenze attribuite come
ostacoli prodotti da altri: cioè la partner che 'non capisce'; l’assassino che riesce a far perdere le tracce; il cattivo, in
generale, che mette bastoni tra le ruote che impediscono al protagonista di
avanzare. Ostacoli esterni. Ora il protagonista scopre quelli interni (limiti personali) che,
per certi versi, sono persino più resistenti.
È normale, se consideriamo queste
resistenze interne, che esse ci pongano ostacoli. Dopo una vita passata a
pensarla in un certo modo, ad agire in un certo modo, non è uno scherzo fare
inversione a U e ricominciare. Cioè, le nostre paure di impattare qualcosa di
doloroso che ci farà pentire di aver intrapreso quella strada sono fortissime,
e pure comprensibili. E, come detto, persino salvifiche. Scoprire di colpo la
profondità del nostro dolore potrebbe destabilizzarci completamente. Ma
ugualmente il protagonista si sente spinto e attratto in quella direzione. È
inevitabile, a questo punto, per lui. Come una calamita che lo attrae verso qualcosa di doloroso con cui sente inevitabile il confronto.
Il
protagonista scopre a questo punto che in realtà in lui esiste una frazione
emotiva importante, anzi determinante in una relazione che duri un po’ più d’un
paio di serate, frazione che fino a quel momento ha negato o eluso per paura
‘che il fulmine lo colpisse’, cioè che questa parte non praticata potesse
vendicarsi aggredendolo. Allora “meglio” evitarla. Ma in realtà è una parte
stessa del protagonista alla quale lui rinuncia e ha rinunciato fino a quel
momento, e che ora non può più ignorare perché ‘riattivata’ durante la Prova Suprema. Desiderio e paura cancellano sé stessi,
scrive Joseph Campbell. Bisogna accettarlo, e vedere cosa succede.
Questa piccola caduta agli inferi (ma il
peggio deve ancora venire) termina in quella che
viene chiamata Seconda Pinza, un punto che si trova la Fine dello Stato di Grazia e il Punto di Morte. Il
protagonista ha percepito ‘che c’è dell’altro che lo spaventa e lo attrae’. Quindi arriva un punto in cui questa ‘responsabilità a sentire pure con dolore’ viene
richiamata. Una specie di test, qualcuno (le sue resistenze interne, nel
racconto l'antagonista) che gli dice di lasciar perdere, in fondo
starci male non serve, potrebbe mollare e ritornare alla sua vecchia vita. Un test, appunto. Un magnifico esempio è rappresentato
nel film 'Il Verdetto', quando a Paul Newman, avvocato alcolista, il cattivo
propone un bel po’ di soldi se lascerà perdere la causa. Paul Newman ha il
bicchiere nella mano che gli trema, la tentatazione forte di bere, di dimenticare,
di accettare il compromesso: invece trova la forza di rimetterlo giù sul tavolo.
Bellissimo messaggio, senza sprecare una parola. Abbiamo capito che lui, anche
se con grandi difficoltà, è disposto ad andare avanti.
La Fine dello Stato di Grazia
rappresenta lo snodo narrativo in cui la fonte di energia che il protagonista ha trovato nello Stato di
Grazia della Prova Suprema e lo ha esaltato, impatta la necessità di una verifica sul piano reale.
Quindi gli viene chiesto cosa è in grado di fare sul piano reale per sostenere
quella forza, al di là del fatto che lo desideri, se è abbastanza coraggioso per ottenere l’elisir finale.
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