mercoledì 18 giugno 2014

AMICI, NEMICI: IL VENTRE DELLA BALENA


Come abbiamo visto nei precedenti post, il nostro eroe conduce un’esistenza routinaria (Mondo Ordinario), poi riceve uno stimolo vitale (Chiamata all’Avventura), che lo spaventa (Rifiuto della Chiamata), ma che gli lascia intravedere il peggio senza un profondo cambiamento (Prospettiva di Morte).
Adesso entriamo nel secondo atto, nella zona Amici, Nemici. (Tutto il secondo atto viene definito mondo straordinario, cioè un mondo nuovo in cui il protagonista viene precipitato dagli eventi). Pensare al ‘Mondo Straordinario’ mi ha sempre ispirato un certo entusiasmo. Quella che infatti il protagonista vive in questa zona di racconto è la stessa emozione che può provare un bimbo che entra per la prima volta a Eurodisney. Magia e incanto, ma anche timore e soggezione. Sensazioni altalenanti, confuse, inebrianti.
Nei manuali di scrittura, a questo punto, si parla del ‘ventre della balena’, un luogo straordinario, buio e minaccioso, dove il protagonista si ritrova ad entrare. È il grembo materno, il ritorno a una condizione “primitiva”, ad un ‘contatto arcaico’. Siamo ancora in una fase di approccio, detta di Amici, Nemici, ovvero ciò che il protagonista percepisce come amico o nemico rispetto a questa nuova condizione. Il bimbo è entrato a Eurodisney, si guarda attorno, chiede, s’informa, cerca di capire, guarda facce, scruta sguardi, prima di decidersi a salire sul gioco che desidera. Le reazioni della gente lo incuriosiscono, lo sorprendono, lo ammoniscono, lo incoraggiano, e lui ci si deve confrontare… È Alice piombata nello straordinario Mondo delle Meraviglie. Cappuccetto Rosso che s’inoltra nel bosco.
Chi è stato in un villaggio vacanze sa di cosa si tratta. Un po’ spaesati all’arrivo, fermi alla reception, in attesa che sia assegnata la camera, bagagli in mano e un abbigliamento non consono al luogo, mentre altri turisti che sembrano lì da una vita caracollano abbronzati, ti guardano con una sufficienza che non corrisponde del tutto al tuo entusiasmo e in parte suscita diffidenza.
Ovviamente quando ciascuno di noi “s’inoltra” in qualcosa di sconosciuto, la sensazione che ne riceve è di batticuore, entusiasmo e terrore. La ‘balena’ è un luogo dentro al quale il protagonista entra, e dal quale dovrà uscire. Una volta che sarà riuscito a venirne fuori (molto più avanti nel racconto), avrà raggiunto la nuova vita. Ma andiamo per gradi, egli è appena entrato nel mondo straordinario, un mondo nuovo col quale deve confrontarsi.

Nelle Storie d’Amore, questa zona viene spesso rappresentata in maniera divertente. Ci sono sequenze, a volte veri e propri a sketch messi in rapida successione, in cui il protagonista ridipinge casa, si rifà il look, oppure si allena fisicamente, o fa acquisti compulsivi, mentre sorride a tutti e si adombra per un nonnulla. Ora ‘è allo scoperto’, ovvero è ‘dentro il suo problema’.
In “What Women Want” Nick Marshall (Mel Gibson), dopo la Prospettiva di Morte culminata con la scarica elettrica che lo ha “sensibilizzato”, esce di casa e si reca al lavoro improvvisamente capace di ‘sentire’ i commenti che le donne fanno sul suo conto. E non sempre sono commenti piacevoli. Dopo una prima sorpresa, diventa per lui un’ossessione ‘sentire cosa pensano lo donne’. Un’ossessione che lo spiazza, lo infastidisce, lo travolge, lo incuriosisce. È bello ‘sentire’, ma ‘sente’ anche ciò che non vorrebbe sentire sulla sua visione maschilista, sui suoi pregiudizi sulle donne, sulla sua convinzione di essere ‘il meglio sulla piazza’. Sente tutto, bello e brutto. “Ma cosa sta succedendo?”
Nell’altalenare delle emozioni, in Amici, Nemici – apertura di secondo atto -  il protagonista si apre a sentire ciò che aveva dimenticato dentro di sé, o tenuto a bada per paura. Il vaso di Pandora si è rotto, ne esce tutto ciò che è umano, che rallegra e spaventa. Le rigide difese si abbassano un po’, e ciò che aveva arginato ora lo invade come una piena. Quindi la necessità di tenere un po’ su la guardia, di starci e non starci, di misurarsi soprattutto.
Ciò da cui il protagonista deve ancora difendersi, è una parte di sé sofferente che stenta a venire alla luce. Si potrebbe dire che il protagonista in questa zona di racconto si difende da sé stesso e cerca di contrattaccare, in un’apertura che percepisce minacciosa e ugualmente foriera di novità. È la paura (inconscia) a tornare al proprio fatal flaw, a quel dolore sotterrato che ora, faticosamente, e suo malgrado, sta cercando di tornare in superficie. È evidente che questo ‘spostamento’ migliorerà la qualità della sua vita, ed è altrettanto evidente che gli procuri forti disagi.

Nelle Storie di Morte, la percezione del protagonista dell’affioramento del proprio problema, è ancora più forte. Trattandosi di storie di genere, il plot, la concatenazione cioè degli eventi esterni, è infatti molto più incidente. Storie definite plot-oriented. In questo genere di racconti, viene concesso meno all’aspetto ‘sentimentale’ (interno al protagonista, raccontato in un sub-plot), mentre viene privilegiato il suo confronto con l’esterno, la cui minaccia è esplicita, fisica, pressante. (Serial killer, gangster, zombies, banditi, etc., e non una desiderabile fanciulla o un bell’uomo che chiedano al protagonista quanto sappia dell’amore).
“Will Hunting” si può considerare una Storia di Morte, anche se definirla così toglie poesia al bellissimo racconto, trattandosi di un ‘ritorno alla vita’ che il protagonista deve affrontare. Will Hunting (Matt Demon) è un genio e non sa di esserlo. Per tutto il film agiscono su di lui persone che, in varie modalità, cercano di fargli prendere contatto con questa ‘genialità’. (In realtà vi è anche una storia d’amore, ma di sub-plot). E tutto ciò che Will Hunting fa per tutto il film è resistere a queste azioni di miglioramento su di lui. Non sembra un assurdo? Qualcuno vuol farti capire che dentro hai qualcosa di speciale e tu gli resisti? È l’”assurdo” di qualsiasi racconto, una volta focalizzata l’idea che nel secondo atto si debba parlare delle ‘resistenze’, cioè di come e quanto il protagonista resiste alla propria realizzazione affettiva e professionale. Will è un tipaccio della periferia cresciuto a birre e sganassoni. Sfida chiunque, e chiunque gli pare che lo sfidi. È il suo “carattere”, ciò che lui crede di essere, e ciò che gli altri gli riconoscono. Ecco che allora appare chiaro quanto debba essere parziale, monocorde il “carattere” del protagonista – che abbiamo settato nel Mondo Ordinario - una definizione di sé stesso che imparerà, attraverso il viaggio intrapreso, a riconoscere come limitata e limitante.
Anche noi ci riconosciamo spesso in un carattere: taciturno, allegro, riflessivo, estroverso, paziente, etc.. Ci è necessario per distinguerci in situazioni che non riusciamo a comprendere e che ci confondono. Allora ‘ci rifugiamo’ in ciò che pensiamo di noi stessi, che è la nostra maniera (parziale) di sopravvivere. Ci diciamo: a me capita questo perché sono fatto/a così. È il nostro “carattere”, siamo noi, nel bene o nel male. In realtà è soltanto una parte di noi che si esprime, quella che per una vita abbiamo usato per difenderci e che col tempo ‘si è impadronita’ di noi. È come avere una tavolozza di colori e usare solo il giallo perché ‘noi pensiamo di essere’ il giallo. Tutti gli altri colori ci appaiono estranei se non ostili. Ci appartengono invece anche gli altri colori, soltanto che dobbiamo ancora scoprirlo, e ciò avverrà nel momento in cui l’unico colore-carattere in cui ci siamo identificati fino a quel momento non servirà più a dipingere il quadro che abbiamo scoperto di volere.

Nel Mago di Oz, in questo punto, Alice incontra gli amici che le faranno compagnia per tutto il viaggio. Ciascuno di essi incarna un suo aspetto con cui dovrà entrare in contatto. Questa in genere è la funzione dei personaggi che ruotano attorno al protagonista: ricordargli ciò che non è e che deve integrare. Perciò non bisogna scordare che i personaggi che vivono intorno al protagonista sono sempre una sua funzione. Qualunque personaggio gli mettiamo accanto deve incarnare un aspetto che lui ancora non conosce di sé.

Nelle Storie d’Amore questa funzione è incarnata dalla donna (o dall’uomo) col quale il protagonista deve confrontarsi. Gli altri personaggi sono mentori che lo sostengono, lo spronano o lo frenano come un vecchio marinaio che insegni a un principiante a pilotare una barca. Il mentore non può guidare per lui, e non può evitare che vada a sbattere.
In questa zona di racconto è bene avere chiara l’identità dell’antagonista (incarnazione del problema del protagonista) e chi lo aiuterà a risolverlo (mentori). Amici, Nemici è soprattutto la zona dei mentori. L’antagonista in questa fase è poco presente, incide solo come stimolo per mantenere nel conflitto il protagonista. I mentori sono le ‘armi’, i colori non usati, con cui il protagonista comincia a prendere confidenza in vista del confronto della Prova Suprema.

Nelle Storie di Morte, come al solito, gli aspetti ‘drammatici’ del racconto sono ancor più evidenziati. In “I sette Samurai” i nostri eroi (ricordiamoci che se ci sono più protagonisti in una storia, tutti devono perseguire lo stesso fine – sebbene con atteggiamenti diversi – come si trattasse di un unico protagonista), rinsaldano l’amicizia con la gente del villaggio minacciato, e cominciano a considerare ‘come’ combattere i cattivi. Valutano, ipotizzano, al fine di individuare un piano efficace di difesa. In “Fandango” il gruppo di amici è diretto al dissotterramento di Dom, la bottiglia di Dom Pérignon interrata tanti anni prima, e cominciano un viaggio vero e proprio, in auto, confrontandosi, scambiandosi opinioni e idee, cercando di ‘fare gruppo’ in prospettiva di un comune obiettivo.

Tornando al concetto di ventre della balena, come ritorno a un contatto materno, si potrebbe dire che il protagonista in questa zona ‘si rifà bambino’. Viene ingurgitato dagli eventi, da un ‘ventre’, e in essi, per la prima volta, cerca di trovare una relazione. È tutto nuovo per lui, nella misura in cui non operano più esclusivamente le sue solite difese.

In “Pretty Woman” Edward Lewis (Richard Gere) e Vivian Ward (Julia Roberts) hanno stretto un “accordo” per frequentarsi. Qui c’è la famosa scena dello shopping di Vivian, il maggiordomo che le insegna come si sta a tavola, e Edward che si gode quei momenti… come fossero due fidanzatini. Ma perché, non lo sono? Si comportano come tali, in perfetto accordo, ridono, si prendono in giro, stanno bene insieme. Perché la storia non finisce qui? Già, perché? Con cosa si devono ancora confrontare? Con il loro fatal flaw, naturalmente. Problemi che in realtà sembrerebbero non riguardare la coppia (che pare intendersi a meraviglia) ma che alla fine la determina, in quel “carattere” parziale che li costituisce. Sembra che vada tutto bene, ma ancora non si sono confrontati con il loro fatal flaw. Julia non ha mai vissuto un amore non mercificato, non lo conosce, lo sta scoprendo adesso; Richard non lo ha conosciuto lo stesso, negato attraverso le sfide professionali che lo hanno reso ricco e solo. Questo limite personale verrà fuori quando i due si ritroveranno a voler uscire dal “contratto” precedentemente stipulato. Allora si ritrovano soli, protagonisti di un sogno a cui avevano dato un limite, un nome, un prezzo.

La crescita individuale rispetto alla crescita della coppia è il “problema” delle storie d’amore (a meno che il problema sia esterno, cioè sociale o culturale, come in “Indovina chi viene a cena” o nel più classico “Romeo e Giulietta” dove gli amanti si amano ma qualcuno vuole impedire il loro amore).
Altrimenti, senza una crescita individuale, qualsiasi relazione di coppia finisce per sostanziarsi nella felicità (o infelicità) dell’altro. Perciò spesso basta un banale contrattempo per dare vita a recriminazioni e ad accuse reciproche di sabotaggio. Quindi il ‘problema’ nelle storie d’amore non sta tanto nel riuscire a raccontare la felicità dei protagonisti, ma a farli ‘collassare’ nella scarsa fiducia che hanno di sé stessi, nella propria personale capacità di amare… prima di farli tornare ad essere la coppia che sognavano.
Questo processo di conoscenza di sé stessi e dei propri limiti, si avvia proprio nella zona Amici, Nemici, il cui senso potrebbe essere ‘conosciamoci meglio’. È qui che il lettore o lo spettatore imparano a conoscere meglio i loro eroi, a conoscere qualcosa in più di loro, dei loro limiti e delle armi che possiedono per raggiungere il loro scopo. 

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