martedì 10 giugno 2014

LA POSTA IN PALIO: UNA 'PROSPETTIVA DI MORTE'


Nella routine quotidiana (Mondo Ordinario) qualcosa ha risvegliato il protagonista (Chiamata all’Avventura) inquietandolo (Rifiuto dell’Avventura). Le due forze – chiamata e rifiuto – ora stallano. Un “perfetto” equilibrio nell’animo del protagonista. Tante ragioni per andare avanti, altrettante per non farlo. A questo punto serve qualcosa per spingere oltre il racconto. Una… Prospettiva di Morte. (O fai qualcosa o finirai morto!)
Molti manuali e corsi di scrittura a questo punto parlano dell’entrata in scena dell’Araldo, cioè di un personaggio che spinge il protagonista a entrare nel secondo atto. È così infatti, ed è importante conoscere il significato che porta in sé l’Araldo, ovvero il Mentore.
La parola mentore in greco antico significa mente, ma anche forza o coraggio. Ed è sostanzialmente questo che arriva al protagonista, un ‘suggerimento dalla mente’ ad andare avanti con forza e coraggio, qualcosa che modificherà il suo grado di coscienza migliorandolo nello spingersi a misurarsi con sé stesso. (È curioso che dietro alla figura maschile di Mentore nell’Odissea, colui che aiuta Telemaco e protegge Ulisse, si nasconda in realtà una dea, Atena).
È bene sapere che la questione che il protagonista si pone a questo punto del racconto è: ho ricevuto un forte stimolo emotivo, ma lo respingo per evitare che mi travolga. Però se lo respingo la mia vita continuerà ad essere grigia e monotona come prima, una prospettiva davvero insoddisfacente…
L’”Araldo”  - figura arcaica di favole e di vicende cavalleresche, applicata anche a supereroi moderni - è l’incarnazione di questa insoddisfazione che indica la pressione interna del protagonista dovuta ad un irrisolto che lo spinge verso un ‘essere costretto’ a trovare una risposta. La Prospettiva di Morte è perciò una pressione interna del protagonista che gli dà il senso d’un’impotenza da cui sente di doversi riscattare.

Nelle Storie di Morte, un perfetto esempio di Prospettiva di Morte è contenuto in “Rocky”. Rocky Balboa (Sylvester Stallone) viene invitato da Apollo Creed (Elio Zamuto), campione dei pesi massimi, a una sfida sul ring (Chiamata). Ma Rocky alza le spalle, è fuori dalla scena da troppo per rimettersi in gioco (Rifiuto). Rocky rimugina sulla propria triste condizione di vita, visualizzata in una sequenza di immagini tristi e sconsolate. Infine trova a casa il suo pesciolino rosso morto. ‘Vede’ perciò la prospettiva di una vita, una condizione mortifera che gli si prospetta, come sarà se non si decide a fare qualcosa.

Nelle Storie d’Amore, in questo punto, viene spesso riproposta al protagonista la situazione del Mondo Ordinario, quotidianità che, dopo lo stimolo della chiamata, e la retromarcia del rifiuto, vede ora tuttavia in una luce diversa, limitante.
In “Notting Hill” William Thacker (Hugh Grant), dopo aver conosciuto Anna Scott (Julia Robets) e averla “rifiutata” a causa della propria inadeguatezza, per una sequenza di scene vaga con la mente pensando a lei. Un “maceramento” che dà la sensazione di ciò che prova. Cioè una mancanza. Alla fine di questa sequenza l’amico-mentore-araldo gli rivela che gli è arrivata una telefonata e che si era scordato di parlargliene. È la telefonata che lo metterà in contatto con Anna Scott.
In “What Women Want” il pubblicitario Nick Marshall (Mel Gibson) torna a casa con la scatola di ‘robe da donne’ che deve valutare al fine di promuovere un prodotto femminile. Guarda la tivù, si ubriaca, sente musica, infine usa su di sé quella ‘roba da donne’, collant, mascara, ceretta, etc., per provare ‘cosa sentono le donne’. Questa lunga sequenza corrisponde alla sequenza in cui William Thacker in “Notting Hill” vaga sognando Anna Scott.
Nel caso di  “What Women Want” non c’è l’amico che gli dà le coordinate per telefonare ad Anna Scott, ma Nick che cade dentro la vasca col fon in mano e riceve una scarica elettrica che non lo farà più essere come prima (cioè un uomo insensibile).
La telefonata ad Anna Scott e Nick che cade nella vasca col fon sono la stessa cosa, hanno lo stesso valore narrativo, indicare cioè in questa zona una sensazione di frustrazione e d’impotenza. Al termine di questa zona di racconto indicata come Prospettiva di Morte, si giunge a un evento o ad una persona che ne segna il limite, che costringe il protagonista ad andare avanti. Da questo momento in poi siamo nel secondo atto.

La Prospettiva di Morte ha un valore molto importante nel racconto. Arriva come questione posta al protagonista dopo lo stallo ‘chiamata-rifiuto’.
Adesso cosa vuoi fare?, sembra dirgli il destino.
La prospettiva rappresenta in nuce ciò che avverrà in maniera più netta e decisiva nel Punto di Morte. Questa prospettiva là si realizzerà come questione definitiva: ora o mai più. C’è una sussidiarietà tra questi due elementi narrativi: il primo annuncia e sostanzia il secondo.
Sapere perciò di cosa deve morire il protagonista nella prospettiva, rende chiaro e netto di cosa morirà nel Punto di Morte. Nel secondo atto, in cui stiamo entrando, il protagonista dispiegherà tutte le proprie difese al fine di resistere alla soluzione del suo stesso problema, paradossalmente cercando di non morire, e trovando così la morte. Nel Punto di Morte quindi moriranno tutte le sue resistenze e lui sarà solo di fronte a una scelta improcrastinabile: morire definitivamente o vivere.
La Prospettiva indica la posta in palio del protagonista. ‘Ora sai cosa rischi se ti fermi: una vita che adesso, dopo lo stimolo vitale, non percepisci più come soddisfacente.’ Nelle Storie di Morte questa acquisizione è sostanziata dalla necessità del protagonista di sopravvivere a una minaccia, mentre nelle Storie d’Amore dalla necessità di integrare la sua parte mancante (animus o anima).
Prima che un simbolo, o una persona, o un’immagine lo spingano ad andare oltre, la sensazione del protagonista in questo punto è la stessa di chi si trova davanti a una vetrina e vede una cosa che gli piace, ma non è ancora sicuro di comprarla. Oppure di chi ha deciso di fare una vacanza ma non sa quale località scegliere. Un’incertezza che non porta a prendere alcuna decisione.
Pensare all’idea di una morte – in questo caso in prospettiva - è senz’altro un’impresa complessa. Epicuro, sulla morte, diceva: “quando siamo noi, non c’è morte. Quando c’è la morte, non siamo più noi. Nulla dunque essa è per i vivi e per i morti, perché in quelli non c’è, e questi non sono più.” La morte che s’intende in un racconto è semplicemente l’incontro del protagonista con un livello più profondo di sé dove, si potrebbe dire, si annida il problema che gli rende insoddisfacente la vita. Che ne abbia la percezione, la prospettiva di doverlo incontrare, naturalmente lo spaventa e lo spinge a un ritiro.
In realtà il protagonista nella prospettiva, e neanche nel Punto di Morte muore. Ma comincia a morire, e poi muore, una parte di sé improduttiva per la sua vita (fatal flow) , e in essa “risorge” senza più la neccessità di una difesa, percependo infine il suo stesso problema altro da sé. Insomma, nel tentativo di difendersi, il protagonista sbatte il grugno contro i propri limiti e impara a riconoscerli.
In generale, la capacità di riuscire a dare risposte vitali a circostanze che ci affossano, il diritto a meritare e rivendicare qualcosa di meglio per sé stessi, nella consapevolezza che ciò che ci arriva ci deve accrescere come parte essenziale di qualsiasi relazione, dovrebbe rappresentare il viaggio del protagonista e il senso della storia che scriviamo.
A volte ci chiediamo – sentendo racconti di persone o vedendo servizi in tivù – come faccia quella data persona a sopravvivere in un contesto del genere. L’ingiustizia che percepiamo, che riflette una parte di noi, è in genere dovuta a condizioni di subalternità psicologica, culturale o sociale. Ma spesso vi è una condizione ancor più lesiva, rappresentata dall’autoconvincersi di non aver diritto ad altro di meglio. Per educazione, per rispetto, per “buon senso”. Ciò sostanzialmente ci rende i primi nemici di noi stessi. Non abbiamo più bisogno di un ‘cattivo’ che ci schiacci, lo rappresentano noi stessi restando subalterni al nostro dolore, al nostro ‘carattere’, alle nostre abitudini.
Nel video “One” degli U2 ci sono bisonti che corrono in una prateria e alla fine, senza un preciso motivo, cadono giù da un dirupo, uno dietro l’altro. Una corsa che non ha un senso apparente, assomiglia anzi a una follia. Un video che fa riflettere. Il suggerimento è che il destino di quei bisonti sia soltanto di correre e poi scomparire giù per un dirupo.
La Prospettiva di Morte è affascinante perché per la prima volta fa impattare al protagonista una consapevolezza, l’idea di una parte di sé atrofizzata e che può condurlo all’annichilimento. Per la prima volta ha l’idea che qualcosa possa andare diversamente, magari pure meglio. Cioè la sua vita non può essere sacrificata sull’altare di una società (istituzioni o gruppi o ideali) che gli chiede di combattere per una causa che non lo rappresenta. Come i bisonti che corrono incontro al dirupo…






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