Nella routine quotidiana (Mondo
Ordinario) qualcosa ha risvegliato il protagonista (Chiamata all’Avventura) inquietandolo (Rifiuto dell’Avventura). Le due forze – chiamata e rifiuto – ora stallano.
Un “perfetto” equilibrio nell’animo del protagonista. Tante ragioni per andare
avanti, altrettante per non farlo. A questo punto serve qualcosa per spingere oltre
il racconto. Una… Prospettiva di Morte.
(O fai qualcosa o finirai morto!)
Molti manuali e corsi di scrittura a questo punto parlano dell’entrata in
scena dell’Araldo, cioè di un personaggio che spinge il protagonista a entrare nel
secondo atto. È così infatti, ed è importante conoscere il significato che
porta in sé l’Araldo, ovvero il Mentore.
La parola mentore in greco antico
significa mente, ma anche forza o
coraggio. Ed è sostanzialmente questo che arriva al protagonista, un
‘suggerimento dalla mente’ ad andare avanti con forza e coraggio, qualcosa che modificherà
il suo grado di coscienza migliorandolo nello spingersi a misurarsi con sé
stesso. (È curioso che dietro alla figura maschile di Mentore nell’Odissea,
colui che aiuta Telemaco e protegge Ulisse, si nasconda in realtà una dea,
Atena).
È bene sapere che la questione che il protagonista si pone a questo punto del
racconto è: ho ricevuto un forte stimolo emotivo, ma lo respingo per evitare che mi travolga.
Però se lo respingo la mia vita continuerà ad essere grigia e monotona come prima,
una prospettiva davvero insoddisfacente…
L’”Araldo” - figura arcaica di favole
e di vicende cavalleresche, applicata anche a supereroi moderni - è
l’incarnazione di questa insoddisfazione che indica la pressione interna del
protagonista dovuta ad un irrisolto che lo spinge verso un ‘essere costretto’ a
trovare una risposta. La Prospettiva di
Morte è perciò una pressione interna del protagonista che gli dà il senso d’un’impotenza
da cui sente di doversi riscattare.
Nelle Storie di Morte, un perfetto esempio di Prospettiva di Morte è contenuto
in “Rocky”. Rocky Balboa (Sylvester Stallone) viene invitato da Apollo Creed (Elio Zamuto), campione dei pesi massimi, a una
sfida sul ring (Chiamata). Ma Rocky
alza le spalle, è fuori dalla scena da troppo per rimettersi in gioco (Rifiuto). Rocky rimugina sulla propria
triste condizione di vita, visualizzata in una sequenza di immagini tristi e sconsolate.
Infine trova a casa il suo pesciolino rosso morto. ‘Vede’ perciò la prospettiva
di una vita, una condizione mortifera che gli si prospetta, come sarà se non si
decide a fare qualcosa.
Nelle Storie d’Amore, in questo punto, viene spesso riproposta al
protagonista la situazione del Mondo Ordinario,
quotidianità che, dopo lo stimolo
della chiamata, e la retromarcia del rifiuto, vede ora tuttavia in una luce diversa,
limitante.
In “Notting Hill” William Thacker (Hugh Grant), dopo aver conosciuto Anna
Scott (Julia Robets) e averla “rifiutata” a causa della propria inadeguatezza,
per una sequenza di scene vaga con la mente pensando a lei. Un “maceramento”
che dà la sensazione di ciò che prova. Cioè una mancanza. Alla fine di questa
sequenza l’amico-mentore-araldo gli rivela che gli è arrivata una telefonata e che
si era scordato di parlargliene. È la telefonata che lo metterà in contatto con
Anna Scott.
In “What Women Want” il pubblicitario Nick Marshall (Mel Gibson) torna a
casa con la scatola di ‘robe da donne’ che deve valutare al fine di promuovere
un prodotto femminile. Guarda la tivù, si ubriaca, sente musica, infine usa su
di sé quella ‘roba da donne’, collant, mascara, ceretta, etc., per provare ‘cosa
sentono le donne’. Questa lunga sequenza corrisponde alla sequenza in cui William
Thacker in “Notting Hill” vaga sognando Anna Scott.
Nel caso di “What Women Want” non
c’è l’amico che gli dà le coordinate per telefonare ad Anna Scott, ma Nick che
cade dentro la vasca col fon in mano e riceve una scarica elettrica che non lo
farà più essere come prima (cioè un uomo insensibile).
La telefonata ad Anna Scott e Nick che cade nella vasca col fon sono la
stessa cosa, hanno lo stesso valore narrativo, indicare cioè in questa zona una
sensazione di frustrazione e d’impotenza. Al termine di questa zona di racconto
indicata come Prospettiva di Morte, si
giunge a un evento o ad una persona che ne segna il limite, che costringe il
protagonista ad andare avanti. Da questo momento in poi siamo nel secondo atto.
La Prospettiva di Morte ha un
valore molto importante nel racconto. Arriva come questione posta al
protagonista dopo lo stallo ‘chiamata-rifiuto’.
Adesso cosa vuoi fare?, sembra dirgli il destino.
La prospettiva rappresenta in
nuce ciò che avverrà in maniera più netta e decisiva nel Punto di Morte. Questa prospettiva là si realizzerà come questione
definitiva: ora o mai più. C’è una sussidiarietà tra questi due elementi
narrativi: il primo annuncia e sostanzia il secondo.
Sapere perciò di cosa deve morire il protagonista nella prospettiva, rende chiaro e netto di
cosa morirà nel Punto di Morte. Nel
secondo atto, in cui stiamo entrando, il protagonista dispiegherà tutte le
proprie difese al fine di resistere alla soluzione del suo stesso problema,
paradossalmente cercando di non morire, e trovando così la morte. Nel Punto di Morte quindi moriranno tutte le
sue resistenze e lui sarà solo di fronte a una scelta improcrastinabile: morire
definitivamente o vivere.
La Prospettiva indica la posta in
palio del protagonista. ‘Ora sai cosa rischi se ti fermi: una vita che adesso,
dopo lo stimolo vitale, non percepisci più come soddisfacente.’ Nelle Storie di
Morte questa acquisizione è sostanziata dalla necessità del protagonista di
sopravvivere a una minaccia, mentre nelle Storie d’Amore dalla necessità di
integrare la sua parte mancante (animus
o anima).
Prima che un simbolo, o una persona, o un’immagine lo spingano ad andare
oltre, la sensazione del protagonista in questo punto è la stessa di chi si
trova davanti a una vetrina e vede una cosa che gli piace, ma non è ancora
sicuro di comprarla. Oppure di chi ha deciso di fare una vacanza ma non sa
quale località scegliere. Un’incertezza che non porta a prendere alcuna
decisione.
Pensare all’idea di una morte – in questo caso in prospettiva - è senz’altro un’impresa complessa. Epicuro, sulla
morte, diceva: “quando siamo noi, non c’è morte. Quando c’è la morte, non siamo
più noi. Nulla dunque essa è per i vivi e per i morti, perché in quelli non
c’è, e questi non sono più.” La morte che s’intende in un racconto è
semplicemente l’incontro del protagonista con un livello più profondo di sé
dove, si potrebbe dire, si annida il problema che gli rende insoddisfacente la
vita. Che ne abbia la percezione, la prospettiva di doverlo incontrare,
naturalmente lo spaventa e lo spinge a un ritiro.
In realtà il protagonista nella prospettiva,
e neanche nel Punto di Morte muore. Ma
comincia a morire, e poi muore, una parte di sé improduttiva per la sua vita (fatal flow) , e in essa “risorge” senza
più la neccessità di una difesa, percependo infine il suo stesso problema altro da sé. Insomma, nel tentativo di
difendersi, il protagonista sbatte il grugno contro i propri limiti e impara a
riconoscerli.
In generale, la capacità di riuscire a dare risposte vitali a circostanze
che ci affossano, il diritto a meritare e rivendicare qualcosa di meglio per sé
stessi, nella consapevolezza che ciò che ci arriva ci deve accrescere come
parte essenziale di qualsiasi relazione, dovrebbe rappresentare il viaggio del
protagonista e il senso della storia che scriviamo.
A volte ci chiediamo – sentendo racconti di persone o vedendo servizi in
tivù – come faccia quella data persona a sopravvivere in un contesto del
genere. L’ingiustizia che percepiamo, che riflette una parte di noi, è in
genere dovuta a condizioni di subalternità psicologica, culturale o sociale. Ma
spesso vi è una condizione ancor più lesiva, rappresentata dall’autoconvincersi
di non aver diritto ad altro di meglio. Per educazione, per rispetto, per “buon
senso”. Ciò sostanzialmente ci rende i primi nemici di noi stessi. Non abbiamo
più bisogno di un ‘cattivo’ che ci schiacci, lo rappresentano noi stessi
restando subalterni al nostro dolore, al nostro ‘carattere’, alle nostre
abitudini.
Nel video “One” degli U2 ci sono bisonti che corrono in una prateria e alla
fine, senza un preciso motivo, cadono giù da un dirupo, uno dietro l’altro. Una
corsa che non ha un senso apparente, assomiglia anzi a una follia. Un video che
fa riflettere. Il suggerimento è che il destino di quei bisonti sia soltanto di
correre e poi scomparire giù per un dirupo.
La Prospettiva di Morte è
affascinante perché per la prima volta fa impattare al protagonista una
consapevolezza, l’idea di una parte di sé atrofizzata e che può condurlo
all’annichilimento. Per la prima volta ha l’idea che qualcosa possa andare
diversamente, magari pure meglio. Cioè la sua vita non può essere sacrificata
sull’altare di una società (istituzioni o gruppi o ideali) che gli chiede di combattere
per una causa che non lo rappresenta. Come i bisonti che corrono incontro al
dirupo…
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